D: Quanti
anni sei stato tossicodipendente?
R: Ho cominciato a 18 anni. Stavo passando una crisi di esistenza, non sapevo
se volevo scegliere la strade del lavoro (avevo appena preso il diploma di carrozziere).
Il mio lavoro mi piaceva, ma non mi soddisfava completamente. Da qui sono sorti
altri problemi e ho cominciato a drogarmi dalla mattina alla sera, esageravo
e combinavo solo guai, mi hanno pure licenziato e sono sceso sempre più
in basso, cercando di abusare di tutto e di tutti. Ho fatto questa vita fino
all'età di 24 anni, quando sono entrato in comunità. Mi sono accorto
che dovevo cambiare, altrimenti non ce l'avrei fatta più.
D: Prima
della comunità, hai tentato altre vie per uscirne?
R: Ho usato il metadone, ma nel modo sbagliato. Probabilmente ad alcuni
può servire, io lo usavo per sconvolgermi. Il metadone era un qualcosa
in più da aggiungere alle altre sostanze. Ne ho fatto un uso simile per
due anni. Dentro di me non avevo ancora maturato la decisione di smettere. A
volte, addirittura, lo vendevo e questo la dice lunga su quanto mi sia servito.
La comunità, invece, è stata significativa e mi ha aperto la mente,
poiché ho visto delle persone che mi dicevano in modo chiaro quello che
pensavano di me e mi accettavano per come ero. Essere accettati per quello che
si è, rende tutto più facile.
D: Da
soli non si riesce a uscirne?
R: lo so che alcuni ce l'hanno fatta. Ma non ci credo molto. Posso fare
confronti con la persona che ero in quel momento: all'epoca da solo non ce l'avrei
fatta, non ero abbastanza forte, necessitavo di persone vicine, disponibili
e con tante attenzioni, che mi dessero delle direzioni. Però, ben venga
se qualcuno ce la fa da solo. Ma la comunità chiaramente fa bene a tutti,
non solo al tossicodipendente, fa bene a qualsiasi persona. Non è una
prigione, non è un posto dove ti lavano il cervello. È una famiglia,
con persone che hanno un'esperienza sulla pelle .
D: L'esperienza
della comunità è comunque affermare un radicale no alla droga,
senza concessioni.
R: Sì, per me è stato così.
D: La
situazione che oggi viviamo, ma non solo in Svizzera, è caratterizzata
dal confronto di due linee: quella rigida del no assoluto alla droga e a tutte
le forme di legalizzazione, e quella più permissiva che vede negli esperimenti
di distribuzione controllata di eroina e nella depenalizzazione delle possibili
soluzioni. Quando senti dibattere su queste tematiche, come reagisci?
R: Mi fa piacere che se ne parli. Trovo che è positivo per la gente.
Anche per coloro che non sono confrontati direttamente con questo problema,
magari in casa. D'altra parte, però mi pare che si stia degenerando con
gli esperimenti: sperimentiamo, proviamo, inventiamo, un po' come si ha tendenza
a fare oggi. C'è questa moda di trovare una soluzione a questo problema.
Mi dispiace che si arrivi a questi esperimenti un po' tragici e svolti su delle
persone che magari hanno pochi anni della loro vita. Invece di portarli a vivere
in un modo migliore, positivo per loro, gli si da ancora dell'eroina. Questo
mi sembra essere proprio una cattiveria nei loro confronti.
D: Però
chi lo fa crede di fare del bene ...
R: Io sento solo che se facessero una cosa così a me, mi farebbero
veramente solo del male. Non mi farebbero assolutamente del bene. Dunque sono
per una repressione che sia dura perché in quella durezza c'è
sicuramente una strada che da più significato. Riscattare la propria
vita è duro, però quello che puoi avere dopo è tantissimo,
è grande. E ti dà veramente sostegno. Io sono dunque contro questi
metodi
li trovo molto meschini. Soprattutto con delle persone alle quali
bisognerebbe dare la vita, invece gli si dà la morte. È brutto,
è veramente brutto.